Una serie di personaggi costretti ad affrontare una serie di trappole micidiali per poter sopravvivere e guadagnare l’uscita. Stiamo ovviamente parlando di The Cube, thriller horror del 1997 diretto da Vincenzo Natali, pellicola cinica e simbolista che vede i protagonisti intrappolati in un inconoscibile cubo, nella morsa di una claustrofobica, delirante atmosfera kafkiana.
“Il Cubo” è diventato un vero e proprio classico dell’horror grazie alla sua capacità di generare una tensione costante e ai pericoli inaspettati che i personaggi si trovano ad affrontare.
La serie dei film “The Cube” (tre capitoli originali, più un remake giapponese) parlano tutti di un gruppo di estranei che si svegliano all’interno di una struttura labirintica di stanze cubiche interconnesse, senza alcun ricordo di come siano arrivati lì. I protagonisti devono lavorare insieme per trovare una via d’uscita evitando trappole mortali e risolvendo enigmi.
Sottoposti a una tensione sempre crescente, i protagonisti finiscono per farsi del male a vicenda, tradirsi e danneggiare le già esigue possibilità di fuggire.
La serie dei film de The Cube è diventata una pietra miliare nella fantascienza horror, grazie al set angusto ma ricco di pericoli inaspettati, alla tensione costante che accompagna i personaggi e alle situazioni inaspettate con le quali ci si può trovare ad avere a che fare.
Per cominciare,e cco alcune curiosità. Il film originale venne girato in 20 giorni. Erano previsti sei diversi colori di stanze per abbinarsi al tema ricorrente di sei in tutto il film; cinque set di pannelli in gel più bianco puro. Tuttavia, il budget non copriva il sesto pannello in gel e quindi nel film appaiono solo cinque diversi colori delle stanze. Le inquadrature che comprendono persone affacciate da una stanza all’altra sono state girate all’interno di un cubo parziale. Il Cubo è stato ideato dal matematico David W. Pravica, che è stato il consulente matematico del film. Durante la post-produzione, Natali ha trascorso mesi a lavorare “sull’ambiente uditivo”, incluso gli effetti sonori appropriati per ogni stanza, in modo che il Cubo sembrasse una casa infestata.
Il grande mistero della saga ovviamente è l’origine del Cubo e su quale sia il suo vero scopo. Alla fine, che cosa sappiamo con esattezza riguardo al Cubo del titolo? Anzi, riguardo ai Cubi?
Il Cubo del primo capitolo è composto da 26 x 26 x 26 stanze cubiche, più 1 sala ponte, per un totale di 17.577 stanze.
Ogni stanza ha un numero di serie composto da tre numeri, ciascuno di tre cifre. La somma delle cifre nel numero rappresenta le coordinate x, y e z della posizione iniziale della stanza nell’intero cubo. Le stanze non sono fisse ma si muovono secondo un sistema di permutazioni, il che richiede periodicamente di eseguire nuovamente i calcoli per scoprire quali ambienti sono sicuri. L’unico modo per uscire consiste in un settore che al termine di ogni permutazione si sposta sul perimetro esterno della struttura, costituendo una possibile via di fuga.
Le permutazioni di come si muovono le stanze possono essere trovate sottraendo le cifre in ciascuno dei numeri di serie.
In “The Cube” non viene fornita nessuna informazione sul mondo esterno mentre qualcosa traspare nel sequel e nel prequel: una sequenza che mostrava l’esterno venne rimossa prima dell’uscita del film. Lo sceneggiatore del film, Vincenzo Natali, sembra che abbia scritto una sceneggiatura dettagliata sul mondo all’esterno della prigione, ma che l’abbia distrutta dopo avere deciso di non trasporre in un film. Le idee viste nei due film non dovrebbero quindi essere connesse alle sue spiegazioni originarie.
Questa struttura è plausibilmente il prodotto di una scienza umana contemporanea anche se avanzatissima. In “The Cube”, Worth riferisce di avere lavorato all’involucro del progetto e che ogni persona coinvolta conosceva soltanto un dettaglio della struttura.
La versione presente in “Hypercube – The Cube 2” è un tesseratto che presenta stanze che si muovono istantaneamente non solo nello spazio, ma anche nel tempo. I protagonisti sono tutti legati a una azienda produttrice di armi, la Izon, che evidentemente ha realizzato questa inconcepibile struttura multidimensionale, al cui interno il tempo scorre in maniera folle ed è possibile incontrare versioni di se stessi provenienti da altre diramazioni dello spazio-tempo.
Dalla presenza di un colonnello statunitense si intuisce che il governo sia almeno informato della sua presenza ma non viene specificato se esso si trova effettivamente negli Stati Uniti, anche se i personaggi parlano proprio con accento del Nord America. Inoltre il militare fa riferimento a una caratteristica del primo cubo, lasciando capire che entrambi esistono nella stessa linea temporale.
Il Cubo contiene un enorme numero di trappole che possono essere attivate da sensori di movimento, di calore, sonori, chimici e con timer. I meccanismi mortali comprendono ma non si limitano a gas tossici, acidi, aghi, laser, lame e via dicendo.
Le stanze delle trappole hanno almeno uno dei numeri di serie come potenza di un numero primo. In origine, Leaven pensava che le stanze con numeri primi fossero le sole trappole, con 459 stanze con le trappole. Tuttavia bisogna ricordare che anche un numero primo elevato alla potenza di 1 è primo. Perciò, ci sono 25 potenze di numeri primi non primi inferiori a 999, il che porta a un potenziale di 534 stanze con trappole..
Ma oltre a ciò, qual è il significato ultimo della situazione allucinante con la quale i personaggi devono fare i conti?
Se lo scopo della struttura fosse quello di uccidere le persone non avrebbe senso imbastire delle trappole tanto complesse, se lo scopo fosse quello di imprigionarle non dovrebbe essere prevista una via di fuga. In “Hypercube” viene detto che lo scopo della prigionia era quello di testare l’ipercubo (evidentemente un prototipo, siccome collassa all’orario “60659” quando tutti i piani dimensionali si sfaldano) ed eliminare ogni persona che abbia partecipato all’esperimento.
E… come faranno a realizzarne un altro, se hanno ucciso tutti coloro che lo hanno costruito?
Ecco, questo è proprio il genere di domande che rischia di farvi finire al suo interno.
Nel prequel “Cube 0” viene mostrato che esistono degli addetti preposti al controllo della struttura, Wynn e Dodd, inoltre sembra che – formalmente – le persone presenti nel Cubo debbano firmare una liberatoria per finire li dentro, cosa che non sempre avviene, siccome il Governo se ne serve per togliere dai piedi i dissidenti politici. Coloro che raggiungono l’uscita e rispondono alla domanda degli incaricati, di non credere in Dio, vengono bruciati vivi. A loro volta però anche Wynn e Dodd sono due inconsapevoli cavie dell’esperimento, venendo monitorati da ulteriori soggetti dei piani alti.
Questa versione quindi sembra un esperimento, oppure un meccanismo di giudizio e punizione, voluto da un’organizzazione militaristica e teocratica, e che ha pieno controllo sulla vita di coloro che partecipano a questa folle giostra, compreso poter riprogrammare la loro mente. Si lascia intendere quindi nel corso della saga che persone legate allo sviluppo o alla manutenzione del Cubo spesso e volentieri finiscano per condividere la sorte delle loro vittime, e che i soggetti intellettualmente più pericolosi (come Kazan del primo film e Wynn del terzo) subiscano procedure di lobotomizzazione per inibire le loro capacità ed evitare loro di uscire facilmente.
La versione del remake del 2021 presenta trappole che si attivano nel punto di demarcazione tra una stanza e coloro che stanno per varcarla, come delle lance che quindi partono da un ambiente colpendo chi si trova nel precedente.
A conti fatti, non solo non sappiamo realmente cosa sia e a cosa serva una simile struttura inconcepibile, e quel poco che si riesce a capire non fa altro che generare contraddizioni nei ragionamenti dello spettatore.
Il Cubo altro non è che una struttura fantascientifica che esiste senza altro scopo apparente che giustificare la propria stessa esistenza.
Nel suo senso più tragico, The Cube può essere visto come una metafora di una concezione nichilista della vita umana, con i personaggi costretti a muoversi in un ambiente che non controllano e che alla fine li distruggerà, un mostro capitalistico che calpesta e distrugge le vite di coloro che gravitano al suo interno.
Allo stesso tempo rappresenta l’importanza della cooperazione tra le persone, che solo aiutandosi a vicenda e condividendo informazioni possono sperare di sopravvivere alle minacce soverchianti per i singoli.
Nel remake giapponese del 2021 i personaggi alla fine trovano un modo per fuggire dal Cubo, ma non sono sicuri se siano effettivamente riusciti a sfuggire o se siano stati semplicemente spostati in un’altra parte della struttura. Ciò implica che il Cubo non sia un luogo fisico, ma piuttosto una costruzione mentale, una rappresentazione delle paure e ansie dei personaggi e dei traumi non affrontati, e solo affrontando queste paure possono veramente fuggire.
Il film “The Cube” non si limita soltanto a esporre violenza e terrore, bensì affronta anche la tematica della sfiducia reciproca e della fragilità nelle relazioni umane. I personaggi rappresentano archetipi ispirati a noti istituti penitenziari, e le loro autentiche motivazioni e intenzioni vengono svelate gradualmente durante il dipanarsi della storia. L’opera esamina altresì la vulnerabilità dell’identità personale e la possibilità che gli eventi narrati possano non avere un reale significato, se non in senso metafisico.
Il Cubo potrebbe essere visto perciò come una metafora per il mondo in cui viviamo. È un luogo complesso e pericoloso, pieno di trappole e insidie, dove tutti cadiamo e ci feriamo, suggerisce che noi tutti siamo in balia di forze oltre il nostro controllo, ma che è possibile con la forza d’animo trovare una via d’uscita anche per le situazioni più complesse.