LA CADUTA

La fine di un dittatore nella Berlino devastata del 1945

La trama del film

Il film di Oliver Hirschbiegel è stato criticato per aver "umanizzato" la figura criminale di Adolf Hitler. Il film, comunque, fa proprio questo; e fa, dunque, sembrare il Dittatore, molto più grottesco e sulfureo che in uno qualsiasi delle decine di cinegiornali nazisti. Gli restituisce, pertanto, la banalità del male, come nella omonima frase di Hannah Arendt.
Forse il tabù più scomodo che la caduta rompe è che Hitler sia interpretato con gusto da un attore di lingua tedesca ( anche se Bruno Ganz era in realtà svizzero ).
Infatti, nel mondo anglofono sembra esserci una convenzione, forse nata dalla meticolosità e dalla galanteria del vincitore, che Hitler sia meglio interpretato da un inglese di formazione classica.
Ma l'autenticità gutturale di Ganz dimostra che le grida e i deliri erano il luogo in cui giaceva la vera identità di Hitler, anche in privato. Non c'era, in pratica, nessun "vero" Hitler affascinante, nessun affascinante statista o brillante visionario o tattico. Rimuginando sulla sua Germania modello di città dei giocattoli con Albert Speer, egli era solo un pazzo dalla lucida follia, probabilmente portato a tale pazzia durante la sua permanenza nelle trincee della Grande guerra.
L'autentico modo di comunicare di Hitler era urlare - urlare, in questo caso, ai generali sudaticci (e, in contumacia, al popolo tedesco) che lo avevano deluso. Hitler entra nei suoi onorati trucchi oratori, ma si accascia a una scrivania, e si trova di fronte non a una folla adorante, ma a una decina di funzionari, stupefatti dall'imbarazzo e dal risentimento non dissimulato.
Hirschbiegel, che ha diretto Das Experiment, sull'inquietante esperimento del gioco di ruolo in prigione che si è spinto troppo oltre, trasferisce su questo materiale il suo talento per l'intimo orrore della reclusione. Si sente quasi l'odore del sudore e della paura del bunker. Lo sceneggiatore e produttore veterano Bernd Eichinger inventa alcuni momenti molto inquietanti, in particolare i sei simpatici bambini biondi dei Goebbels, così spesso usati nelle pubbliche relazioni dei nazisti, che prendono il tè con "Zio Hitler" e cantano canzoni popolari tedesche giù nel bunker per rallegrare tutti. È un incubo dei Von Trapp che, ovviamente, si conclude con i loro genitori che avvelenano tutti e sei, e in qualche modo niente è così patetico e spregevole come questo. La giustificazione di Magda Goebbels per l'omicidio dei propri figli è agghiacciante: non vedo un futuro per i miei bimbi se non nel Terzo Reich!
Forse la scena più degna di nota è quella in cui gli alti ufficiali nazisti si muovono con tristezza per le strade devastate, con un gigantesco stendardo bianco, verso un vertice improvvisato con i russi, dove con monumentale sfrontatezza fanno causa per una pace vantaggiosa, con la motivazione che i russi e i tedeschi sono i Paesi "che hanno sofferto di più".
Nella misura in cui c'è un centro morale nel film, esso risiede nella persona della giovane segretaria personale di Hitler, Traudl Junge, sulle cui memorie, Fino all'ora FInale è in parte basato, e che è stato recentemente oggetto di un avvincente documentario, Blind Spot. La caduta si conclude in realtà con un filmato di intervista della vera Junge che confessa, da anziana, di aver finalmente ammesso che la sua estrema giovinezza non era una scusa per seguire Hitler. Il film immagina Junge in fuga da Berlino in compagnia di un giovane ragazzo della Gioventù hitleriana, visto in famosi filmati "decorato" da un tiranno decrepito nella sua ultima apparizione pubblica. In questo modo, Hirschbiegel ed Eichinger suggeriscono la sopravvivenza di qualcosa come la decenza. È una sopravvivenza discutibile. Ciò che il pubblico toglie a questo lungo e straziante film è la totale distruzione che la Germania ha portato su se stessa: una sconfitta senza onore.