PRIMO AMORE (1978)

CON UGO TOGNAZZI E ORNELLA MUTI
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Frutto del periodo crepuscolare di Dino Risi, Primo amore è una delle sue opere più impietose e disperate, una riflessione crudele su illusione, senilità e fughe dal tempo. Implicitamente è anche una riflessione d’autore sulla fine di un modo d’intendere il fare cinema in Italia, un sentimento comune a diversi dei nostri maggiori autori di commedia sul finire degli anni Settanta.

L’attempato comico d’avanspettacolo Ugo Cremonesi, in arte Picchio, approda a una casa di riposo per artisti poiché è rimasto senza il becco di un quattrino. 
Dopo aver portato scompiglio nel monotono tran-tran dell’ospizio ed essersi per questo inimicato l’austero direttore dell’istituto, Picchio s’invaghisce di Renata, bellissima cameriera diciottenne in servizio presso la struttura. 
Sulle prime Renata non dà peso al corteggiamento dell’uomo, rifiutandolo più volte. Dal canto suo, Picchio non si dà per vinto e inizia a vagheggiare un futuro con Renata in cui poter rilanciare la propria carriera e dare un’opportunità alla ragazza di fare successo nel mondo dello spettacolo. 
Dopo aver ricevuto un ricco assegno che attendeva da tempo, Picchio convince Renata a seguirlo a Roma per cercare fortuna. Dopo qualche incertezza, Renata accetta, ma per Picchio la strada delle illusioni è decisamente breve e crudele.
Il film di Monicelli muove da un preciso intento socio-antropologico, indagando mutamenti nel rapporto tra uomo e donna inscritti nel loro tempo e mostrando tratti di comprensione per le posizioni di entrambi, d’altro canto Dino Risi spinge molto più sul pedale del cinismo e della crudeltà, confezionando una delle sue opere più acri e disperate, le cui logiche muovono innanzitutto da uno sguardo più negativo nei confronti di un personaggio femminile sostanzialmente cinico e approfittatore, sia pure collocato su un ambiguo crinale di parziale e imprendibile ingenuità.