Uomini contro
(tratto dal libro autobiografico di Emilio Lussu - Un anno sull'altopiano) 
&
storia delle Corazze farina

UOMINI CONTRO

L'IDIOZIA DEI GENERALI, LA VITA UMANA PARI A ZERO, LA DISPERAZIONE DI SOLDATI MANDATI AL FRONTE SENZA SAPERE CHI FOSSE IL LORO NEMICO.    QUESTA ERA LA GUERRA VISSUTA DAGLI ITALIANI.....

Durante la Prima guerra mondiale, sull'altopiano di Asiago, il sottotenente Sassu combatte nella divisione comandata dal generale Leone, un veterano che dà continuamente prova della sua disumanità. L'inadeguatezza degli armamenti e i tentativi di ribellione dei soldati si susseguono di giorno in giorno nella totale sordità di un alto comando che continua a portare avanti una guerra in cui la vita non ha più alcuna importanza.
All'indagine sullo scontro tra le nazioni, Uomini contro antepone quello tra le classi sociali, spostando l'asse da una prospettiva storico tradizionale verso una più profondamente ideologica.

La corazza Farina era un tipo di protezione individuale in uso al Regio Esercito durante la prima guerra mondiale. Deve il nome al suo ideatore, l'ingegnere milanese Ferruccio Farina.

Le corazze Farina erano un elemento caratteristico delle cosiddette "Compagnie della Morte", gruppi di soldati incaricati di compiere azioni quasi sempre fatali come, ad esempio, uscire dalla trincea per tagliare il filo spinato piazzato dal nemico. Pesavano oltre nove chili ed erano formate da due piastre a forma di trapezio, una anteriore e una posteriore, composte ciascuna da cinque strati in lamiera d'acciaio, leggermente incurvate verso i fianchi, e da due paraspalle mobili. La corazza aveva due bretelle, che il Soldato incrociava dietro la schiena e annodava sul davanti.

Due bracciali fissati all'interno permettevano di utilizzare la corazza anche a mo' di scudo. La ditta costruttrice le certificò come resistenti a colpi di proiettile calibro 6,5 mm del Carcano Mod. 91, esplosi da almeno 125 metri di distanza. La corazza aveva un elmo a calotta in acciaio con soggolo, da 1,6 a 2,8 chili a seconda della taglia, indossato sopra il berretto di stoffa o con una speciale cuffia imbottita. La ditta Farina produsse anche altri tipi di corazze, come la "corazza Corsi", mai adottata ufficialmente dal Regio Esercito ma comunque acquistata informalmente da comandi del Regio Esercito e, in bassi numeri, da altre forze alleate.

Benché fossero presentate come il vertice dei metodi di difesa personale, nella pratica le corazze Farina si rivelarono fallimentari: oltre al peso e alle conseguenti difficoltà di movimento, proteggevano solo il torace e la testa, lasciando scoperto il resto del corpo. Inoltre, bastava un proiettile di calibro leggermente superiore a quello certificato, o una distanza inferiore ai 125 metri, perché il colpo penetrasse agevolmente la corazza.