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Questa frase potrebbe benissimo sintetizzare la trama del film Aniara, un prodotto tipico del cinema indipendente nordico.
Un film, questo, guidato da una forte vena nichilista e un'atmosfera asfissiante e soffocante, che mette in scena un'umanità devastata e condannata a un eterno errare, logorata dall'interno, consumata dagli istinti primordiali insiti nella nostra specie, i quali prendono il sopravvento non più per garantire la sopravvivenza e la conservazione del genere umano ma per disintegrarlo e sfibrare ogni aspetto socialmente evoluto che ci contraddistingue.
La scienza, la cultura, l'arte, i sentimenti si riducono a essere semplicemente degli specchi per le allodole, degli idoli nefasti e vacui di un passato irripetibile e irraggiungibile. E quando la società inizia a crollare, dopo la dissolutezza e la perdita di valori morali e di scopi elevati, prevale solo l'impulso dell'eros e della morte come osservò Freud, nel tentativo di sopperire a un'esistenza segnata.
Perchè Aniara? Questo il nome della navicella che a
sua volta affonda le radici etimologiche nella parola greca che significa
tedioso, prosaico o monotono, e ispirato a una lunga poesia di un nobelista
(per la letteratura) svedese, costituisce la materializzazione di tutte le
più recondite paure dell'umanità . Quella di imbarcarsi per un viaggio senza
mai poter raggiungere la propria destinazione, e senza possibilità di tornare
indietro, di resettare i comandi e rimettersi in traiettoria. La
consapevolezza di andare in contro a morte certa, all'estinzione inevitabile di
questa umanità già da tempo perduta e doppiamente condannata dal Fato a un
incommensurabile sradicamento, sia dalla Terra, devastata dalle catastrofi
prodotte dall'avidità , e dagli altri pianeti disposti ad accogliere questa
diaspora di superstiti. Mentre lo Spazio la inghiottisce propagandola
eternamente nel suo profondo, nell'oscurità di un viaggio interstellare senza
fine. Una condanna pesante da sopportare e che inizialmente verrÃ
mistificata dai comandanti di Aniara, facendo vivere gli
ignari passeggeri con delle fragili e infondate speranze di salvezza, di
raggiungimento di una terra promessa dove ricominciare da capo quello che è
stato sospeso e interrotto sul nostro pianeta madre, sulla nostra Gaia.
Una speranza che incarna perfettamente la protagonista di quest'opera
intima, profonda e disperatamente nichilista attraverso il volto della tenace e
anonima protagonista (Emilie Jonsson) la quale va contro il clima di
crescente angoscia, preoccupazione e desolazione mettendo in funzione la
prodigiosa MiMa, un'intelligenza artificiale in grado di ricreare nella mente
dei suoi visitatori gli scenari e ambienti tipici della Terra, tra cui laghi,
mari, boschi, ricollegando -seppur in modo plasmatico-gli uomini alla loro
casa, alla Natura, quella stessa natura che hanno contribuito a distruggere e
uccidere. Frammenti di immagini, suoni, sensazioni che MiMa riproduce
fedelmente basandosi sui ricordi e sulla memoria degli individui ma che
gradualmente si sovrappongono alle immagini di morte, distruzione, devastazione che
gli uomini si portano dietro e che condividono inevitabilmente con MiMa fino al
momento in cui anch'essa, sopraffatta dal dolore (in qualità di IA senziente) si
lascia andare. Persa anche quest'ancora di plasmatica e ingannevole
speranza di fugace ritorno a una normalità da tempo andata, la popolazione
di Aniara inizia a sprofondare verso l'abisso più nero,
metaforicamente e letteralmente parlando, correndo in contro a un
destino di dissolutezza, una deriva morale profonda e irreversibile come
il viaggio verso l'ignoto e la morte certa cui sono destinati.
Si ritorna quindi a parlare della teoria di S. Freud e del principio
del piacere che prenderà il sopravvento mentre i meccanismi socialmente imposti
si allentano. Le orgie, anche di carattere mistico o para religioso
sostituiscono la corsa al consumismo, mentre i negozi abbassano definitivamente
le serrande e la ricerca del piacere sembra in grado di placare le ansie e le
angosce dei passeggeri. E quando anche l'eros e la ricerca di
gratificazione edonistica giunge al termine e appare come un vano tentativo di
colmare un vuoto inconciliabile con la natura umana, viene prontamente
sostituito dall'istinto di morte. Le persone, passati ormai anni
dall'incidente che portò Aniara fuori rotta, iniziano a dare
evidenti segni di stress e squilibri psicologici che li portano a suicidarsi o
uccidere persino i propri figli. La morte costituisce ormai l'unica via
di salvezza, assumendo ruolo salvifico in grado di porre fine a questa eterna
condanna, a questa lenta agonia che macera e disgrega quel barlume
d'umanità rimasto acceso all'interno della navicella.
Aniara è dunque un’Opera solida e precisa, sorretta da una brava interprete protagonista e due registi con le idee ben chiare risulta affascinante e inquietante mentre trascina all'interno di questo inesorabile viaggio interstellare dove domina il buio e l'oscurità assoluta, fisica o meno che essa sia.