Con molta probabilità appena il 2% della popolazione della nostra penisola sapeva leggere e scrivere. L'alfabetizzazione era un privilegio per pochi e quei pochi erano praticamente concentrati nel Clero cattolico. Da qui è facile capire l'enorme influenza che la Chiesa ebbe nella storia europea medievale.
GLI ALBORI
DELL’ISTRUZIONE A FAENZA
Nell'Alto Medioevo (dal 476 fino all'anno 1000), fu soprattutto la Chiesa a
occuparsi dell’educazione dei giovani tranne le famiglie nobili che spesso
assumevano dei religiosi per l'istruzione dei propri figli. Le scuole
avevano quasi sempre sede all'interno dei monasteri. Esistevano anche scuole
parrocchiali, che fornivano un'alfabetizzazione di base specie a bambini
destinati al sacerdozio o ad incarichi all’interno della chiesa. Faenza, come
tutte le città, seguiva questo modus vivendi anche se non si sono trovate fonti
storiche per documentarlo. Solo dal sec. XII tra i canonici cominciano ad
apparire dei “magistri” (celebre il nostro storico Tolosano); in un documento
faentino contemporaneo di s. Pier Damiano (la carta d’Eutichio del 1045),
troviamo le firme di due <scolastici>, e cioè di due persone addette
all’insegnamento nelle scuole primarie: Ildebrando, “grammatico”, e Rainerio
insegnante del “trivio” (grammatica, retorica e dialettica); questo Rainerio
potrebbe essere stato il maestro dello stesso s. Pier Damiano che frequentò le
scuole faentine attorno l’anno 1020. Lo stesso s. Pier Damiano c’informa sui
programmi di queste scuole primarie e la sua testimonianza è tanto più preziosa
in quanto è isolata nei secoli e potrebbe anche riferire la sua esperienza
faentina “…nelle scuole, scrive, dove i fanciulli ricevono le prime nozioni per
articolare le lettere, alcuni di questi fanciulli si chiamano
<abecedarii>, alcuni poi <nominarii> ed infine
<calcolatori>”, e già nell’udir questi nomi ci facciamo un’idea del grado
d’istruzione di quei fanciulli.
Proviamo ora a spiegare il significato di questi livelli d’istruzione:
abecedarii, erano i fanciulli che cominciavano a leggere (e poi anche a
scrivere se.... volevano farlo), lettera per lettera. a b c d…….;
sillabarii, leggevano sillaba per sillaba e non in ordine alfabetico. A chi
potesse giudicare eccessiva la distinzione fra le due classi, faccio osservare
che nel medioevo la lettura delle sillabe era molto più difficile di oggi, sia
per i nessi che potevano modificare la pronuncia (ae, oe, ph, ti, ci, gi e ge
si pronunciavano ancora ghi e ghe, sia per le numerose abbreviazioni: la
lettera p, ad es. poteva leggersi in quattro modi: prae, pro, per e post a
seconda dei segni che l’accompagnavano), così la lettura delle sillabe
costituiva un notevole passo nell’istruzione primaria del Medio Evo; nominarii,
erano gli scolari che non solo leggevano parole intere, ma si rendevano conto
del loro significato; calcolatori, questi imparavano fare i conti e le regole
più elementari di calcolo.
Come esame per le materie “letterarie”, doveva esserci (se c’era), una prova
molto semplice: bastava far leggere e interpretare (o magari anche scrivere
sotto dettatura), parole o frasi come questa: “Ferunt Ophir convexa kumba per
liquida gazas”, che significava: <Navi panciute attraverso il liquido
elemento trasportano ricchezze ad Ofir>. Ma cosa interessava ai ragazzi tale
frase? La frase aveva la particolarità di incorporare tutte le 24 lettere
dell’alfabeto latino comprese le più rare: k x y e z; ecco, chi sapeva leggere
e scrivere questo verso, veniva diplomato. Una curiosità, quante persone a
Faenza sapevano leggere o scrivere nell’Alto Medioevo? I documenti scritti, che
si trovano nei nostri archivi storici tra l’883 a tutto il 1099, sono
complessivamente 77 e contengono ben 314 sottoscrizioni, senza contare quelle
del “tabellione” o del notaio scrivente; ora di questi 314 sottoscrittori, 151
firmano e 163 fanno il segno della croce, “…quia scrivere nesiverunt”, perché non
han saputo scrivere, …annotava il notaio, quindi poco meno della metà quelli
che sapevano scrivere (ma coloro che avvicinavano il notaio erano pochi, solo i
ricchi e benestanti – n.d.r.).
Forme scolastiche si avverarono anche presso le pievi e parrocchie nei riguardi di ragazzi candidati al sacerdozio, ma anche abbandonati. Usavano nel X secolo, i <salterii corali>, scritti con lettere grandi da potersi leggere da lontano da più ragazzi, generalmente costoro imparavano a leggere, ma non a scrivere. L’alto prezzo del materiale occorrente, prima dell’introduzione dell’uso arabo (cioè il cinese), della carta, impediva la scrittura presso le campagne. Nella nostra regione la più antica cartiera è bolognese e risale prima del 1200: a Faenza il primo libro a stampa, esce nel 1476 ad opera della stamperia Simonetti, mentre la prima rivendita di carta risale al 1377. Nell’alto medioevo sanno scrivere appena la maggioranza degli ecclesiastici, cui è affidata la trasmissione della cultura; coloro che lo fanno per mestiere: scribi, tabellioni e notai; quelli che lo fanno per studio: scolastici e legisperiti e coloro che sono impegnati nella vita civile: consoli, giudici e castaldi (dignitari con funzioni amministrative n.d.r.), non sanno scrivere e non firmano mai, le donne, (anche l’abbadessa Remengarda fa la croce, vedi documento del 1061), e la gente di campagna.