DIVINA COMMEDIA - canto primo -

Nel primo canto dell'Inferno, il pellegrino Dante si trova nella famigerata "selva oscura", che è simbolo esplicito di una situazione di traviamento esistenziale e spirituale che, per sua stessa ammissione, rischia di condurlo alle soglie della morte. L'aver scorto un colle rischiarato dalla luce divina non è che il primo passo del suo percorso di redenzione; le tre fiere che gli ostacolano il passo (la lonza, il leone, la lupa) lo costringono ad un lungo excursus nelle viscere infernali, durante il quale Dante sarà guidato da un altro "poeta" (v. 73), il buon Virgilio, che diverrà la sua guida morale e letteraria, subito dopo aver pronunciato la celebre profezia sul "veltro" (v. 101) che libererà il mondo terreno dal male e dal peccato.

1 Nel mezzo del cammin: recuperando una diffusissima metafora, la vita terrena è intesa come un viaggio la cui lunghezza si misura col tempo, e a cui è destinato il pellegrino cristiano, in un itinerario che è tanto materiale quanto spirituale (e cioè, di redenzione dei propri peccati).

2 Di nostra vita: da un passo del Convivio (IV XXIII, 6-10) è quasi certo che Dante si riferisca all'età dei trentacinque anni, che, anche sull'esempio di un passo dei Salmi (90, 10) e di uno del profeta Isaia (38, 10: “[...] in dimidio dierum meorum vadam ad portas Inferi”; “alla metà dei miei giorni mi recherò alle porte dell'Inferno”), erano considerati la metà esatta della vita di un uomo. Il viaggio ultraterreno si collocherebbe allora nel 1300 (anno del primo Giubileo).

3 Selva oscura: la selva è la condizione del peccato, dello smarrimento spirituale, conseguenza di una visione offuscata dei sensi. Per comprendere il senso simbolico della selva, si veda Convivio IV XXIV, 12: “È dunque da sapere, che sì come quello che mai non fosse stato in una cittade, non saprebbe tenere le vie sanza insegnamento di colui che l’hae usata; così l’adolescente, che entra ne la selva erronea di questa vita, non saprebbe tenere lo buono cammino, se da li suoi maggiori non li fosse mostrato. Nè lo mostrare varrebbe, se a li loro comandamenti non fosse obediente”.

4 Selva selvaggia: Figura retorica denominata paronomasia, che mette vicine due parole dal suono simile ma di significato differente.

5 L'altre cose ch'i' v'ho scorte: circa il “ben ch'i' vi trovai”, probabilmente Dante si riferisce a Virgilio; mentre le “altre cose” saranno le tre fiere che lo minacciano, e da cui Virgilio stesso lo aiuterà a liberarsi.

6 Pien di sonno: Il “sonno” equivale alla debolezza dell'anima provocata dal peccato; è un'espressione ricorrente nelle Sacre Scritture e, ad esempio, in Boezio, autore amatissimo da Dante (Consolatione Philosophiae, I, prosa 2).

7 La verace via: esattamente, la “diritta via” del v. 3, ovvero una condotta di vita giusta ed illuminata dalla Grazia di Dio.

8 La valle in cui si trova la selva oscura, ai piedi del colle.

9 Le sue spalle vestite: la cima e il pendio del colle sono metaforicamente delle spalle coperte ("vestite") dai raggi del Sole, simbolo assai esplicito della Grazia divina.

10 Pianeta che mena diritto altrui per ogne calle: è una perifrasi per indicare il Sole. Nel sistema tolemaico era considerato un pianeta che girava intorno alla Terra. Simbolicamente è l'immagine di Dio, della Grazia illuminante, tanto che nel Purgatorio il Sole illumina il cammino del penitente Dante (mentre il Paradiso è il vero e proprio regno della luce). Quella del Sole come luce di Dio è del resto immagine assai ricorrente nel linguaggio delle Scritture.

11 Allor: ha qui valore temporale, da intendersi con “in quel momento”, “a quel punto”.

12 lago del cor: da intendersi come “la parte interna del cuore”, in cui, come riporta il commento di Boccaccio, abitano gli spiriti vitali (G. Boccaccio, Esposizioni, I, 16).

13 La notte è, al di là del significato letterale, anche il simbolo della condizione spirituale di Dante, al pari della selva.

14 Pieta: L'accento è piano, “pièta”, dal lat. pietas (in questo caso, “dolore”, “angoscia”, “sofferenza”)

15 Primo termine di una lunga similitudine che occupa due terzine.

16 Che non lasciò già mai persona viva: l'espressione può essere interpretata in diverse maniere: se si intende “che” soggetto e “persona viva” complemento oggetto, allora si intende che il peccato conduce alla dannazione chi non è capace di liberarsene. Se invece “che” è il complemento oggetto e la “persona viva” è il soggetto, il significato dice invece che nessun vivente riesce ad evitare il peccato. Qualcun altro fa di “che” complemento oggetto, ma intende “persona viva” come “persona ancora in vita”, così da significare che nessuna persona ancora viva, cioè prima della morte, ha mai superato, a causa della sua corporeità, l'ostacolo del peccato.

17 Occorre sottolineare qui la novità rappresentata da questo verso immediatamente successivo alla similitudine. Prima del v. 27 il movimento del protagonista è descritto come un “moto spiritale”, come fenomenologia dell'animo, il quale fugge e si volge indietro raccontandosi in una metafora. A partire dal v. 27 invece, ha luogo l'ingresso del corpo, della fisicità del protagonista e prende forma una biforcazione: “sta nascendo un duplice viaggio. La figura che vediamo ora, la figura in carne ed ossa che si trova su questa «piaggia», si sta incamminando (prima che noi lo si sappia) verso una porta dell'Inferno che non è una metafora e verso un viaggio che non è neanch'esso una metafora”. (Charles S. Singleton, La poesia della Divina Commedia, Il Mulino, Bologna, 1978, p. 28)

18 Si che 'l piè fermo sempre era 'l più basso: perifrasi per indicare l'ascesa in cui Dante s'impegna. Lungo il tragitto in salita il protagonista procede infatti puntando il piede dietro di sé per darsi spinta. In questo modo, come ben descrive, il piede che non segna il passo in avanti è quello che resta più in basso.

19 Una lonza: Specie di lince, simile alla pantera, è il primo dei tre animali (lonza, leone, lupa) che simboleggiano i tre peccati principali che impediscono la via verso la salvezza. La lonza rappresenta la lussuria.

20 Più volte vòlto: paronomasia.

21 Secondo un'opinione degli antichi e ancor più del Medioevo, il mondo era stato creato in primavera, mentre il sole si trovava nella costellazione dell'Ariete.

22 Gaetta pelle: “pelle maculata” tipica dei felini, dal latino volgare gallius, cioè “screziato come la penna di un gallo”.

23 L'ora del tempo e la dolce stagione: Dante pensa di poter evitare il pericolo perché il periodo è astrologicamente favorevole (l'alba primaverile in cui Dio avrebbe creato il mondo). Abbiamo qui una prima confessione biografica del protagonista il quale rivela che nel tempo della sua cecità morale, quello che corrisponde al suo smarrimento simboleggiato dalla “selva oscura”, la sua speranza si affida solo e unicamente all'osservazione dei moti astrali e lì veniva erroneamente riposta. Il racconto del viaggio intrapreso nelle tre cantiche è, dunque, anche la rappresentazione del cammino di svelamento dello spirito umano nella prospettiva della fede e della Grazia.

24 La vista m'apparve d'un leone: Seconda fiera che simboleggia il peccato di superbia.

25 Ne tremesse: Latinismo da tremere.

26 Una lupa: Terza fiera che simboleggia il peccato di cupidigia, inteso non solo come desiderio di denaro, ma anche quello di onori e di beni terreni (come ribadito ai vv. 55-57). La lupa simboleggia l'impedimento più difficile da estirpare. Dante la ritiene l'origine di tutti i mali di Firenze e d'Italia (le “molte genti” del v. 51).

27 Bestia sanza pace: perifrasi per la lupa, che si conferma così la “fiera” più temibile tra quelle incontrate dal protagonista, dato che il peccato che incarna (l'avidità di denaro e di beni terreni) è per Dante quello che altera e sconvolge tutti i costumi umani, e non concede alcuna tregua a chi vi incorre.

28 Là dove 'l sol tace: nella “selva oscura”. La bramosia rappresenta, secondo Dante, un serio impedimento per la risalita del colle, cioè l'uscita dal peccato.

29 Chi per lungo silenzio pare fioco: introduzione del personaggio del poeta latino Virgilio che, secondo la versione simbolica del poema, rappresenta la Ragione. L'immagine di Virgilio appare sbiadita come appaiono sbiadite le immagini di coloro che a lungo sono stati assenti nella coscienza personale (e non solo dalla scena del mondo, dato che la guida di Dante è morta praticamente tredici secoli prima). Con questo Dante vorrebbe significare che per lungo tempo, nel tempo della perdita e del buio della selva, la luce della Ragione in lui è rimasta sopita.

30 Publio Virgilio Marone, poeta latino nato ad Andes nel 70 a.C. e morto a Brindisi nel 19 a.C., autore delle Bucoliche, delle Georgiche e noto soprattutto per l'Eneide, poema epico in dodici libri che sul modello omerico racconta le vicende di Enea, (fondatore della gens Iulia, gens a cui appartiene l'imperatore Augusto) e le vicende che precedettero la fondazione di Roma.

31 Nacqui sub Iulio: “Al tempo di Giulio Cesare”, nel 70 a.C.; il riferimento a Giulio Cesare mette da subito al centro il rilievo che ha, nel sistema ideologico di Dante, l'Impero, dai tempi di Roma sino a quelli in cui Dante compone il poema.

32 Cesare, morto nel 44 a.C., non lesse mai le opere di Virgilio.

33 Li dèi falsi e bugiardi: gli dei pagani, che per il Virgilio dell'oltretomba non possono che essere interpretati, secondo l'ottica cristiana, come mentitori e falsi. Da qui prende corpo poi uno dei temi centrali legati alla figura del poeta latino, ovvero quello della sua esclusione dalla Rivelazione portata da Cristo agli uomini.

34 Quel giusto: Enea, uno dei principi di Troia e protagonista dell'Eneide virgiliana (in cui compare appunto con l'appellativo di pius).

35 Anchise: padre d'Enea, cugino del re di Troia Priamo.

36 Ilïón: Altro nome che Virgilio utilizza per designare la città di Troia.

37 il dilettoso monte: il colle simboleggia la Grazia terrena, alla quale ogni essere umano tende per natura.

38 Principio e cagion di tutta gioia: l'identificazione della felicità come principio di tutte le bontà terrene si trova già nell'Etica Nicomachea di Aristotele, e poi passa in S. Tommaso d'Aquino, uno dei principali maestri di Dante.

39 Vergognosa fronte: metonimia per cui la “fronte” sta ad indicare l'intero volto e l'espressione di Dante, reverente e pudico di fronte ad uno dei suoi punti di riferimento letterari.

40 Lo tuo volume: opere raccolte probabilmente in un unico codice. È certo che Dante conoscesse le Bucoliche e soprattutto l'Eneide. Resta incertezza sulle Georgiche.

41 Lo bello stile: cioè lo stile sublime (contrapposto a quello medio e a quello elegiaco trattati nel De Vulgari Eloquentia) della sua produzione lirica anteriore al 1300.

42 La bestia: la lupa, cioè la cupidigia.

43 La cupidigia impedisce a Dante e a tutta l'umanità la conquista della felicità terrena, portando alla morte dello spirito.

44 'l veltro: celebre “enigma” del poema, la prima celebre profezia la cui spiegazione è oggetto irrisolto di discussione. Il veltro è un cane da caccia, qui simboleggia colui che sniderà e caccerà la lupa. Variamente lo si identifica con personaggi contemporanei a Dante: Arrigo VII, Cangrande della Scala o Uguccione della Faggiola e con qualche ecclesiastico, ma è anche visto come un generico futuro salvatore.

45 Tra feltro e feltro: linguaggio oscuro e sibillino. Dante potrebbe riferirsi alle umili origini del personaggio (con riferimento al feltro, una stoffa modesta), o all'indicazione geografica dei suoi natali: tra Feltre e Montefeltro, all'incirca l'estensione dei territori di Cangrande della Scala.

46 Camilla, Turno, Eurialo e Niso sono personaggi del poema virgiliano.

47 Seconda morte: “La morte dell'anima”, cioè la condizione dei dannati. Cfr. San Francesco D'Assisi, Cantico delle Creature: “Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male”.

48 Il riferimento qui è alla condizione delle anime in Purgatorio

49 Un'anima di me più degna: l'anima più degna qui è naturalmente Beatrice

50 In quanto Virgilio visse nell'età pagana.

51 Oh felice colui cu' ivi elegge: metafora palesemente feudale, in cui Dio è l'Imperatore che regna nei cieli e il beato è il “cavaliere”eletto a farne parte. Anche nel Convivio Dante definisce più volte Dio come “imperadore de l'Universo”. Sfumatura psicologica di Virgilio, che ricorre altre volte nel poema, il quale malinconicamente rimpiange di non esser nato nel tempo della cristianità.