IL CAPO  E LA MASSA
La nascita e l'evolversi della Democrazia recitativa

LO STORICO EMILIO GENTILE SI CIMENTA IN UNA ANALISI DEI CAPIPOPOLO
NELLA STORIA IN RELAZIONE ALLE MASSE.

Uno dei più importanti storici italiani esplora il rapporto che ha legato la folla a leader carismatici come Roosevelt, Mussolini, Lenin, Hitler, Ataturk, de Gaulle, Kennedy. E rivela le dinamiche all’interno delle masse, la seduzione delle parole e delle immagini, la personalizzazione della politica, gli effetti sulla democrazia. Attraverso la sua indagine, le persone che vogliono preservare l’autonomia della loro individualità in una democrazia recitativa possono forse apprendere come evitare di diventare una folla, che non può fare a meno di un padrone.

La caratteristica fondamentale della folla, protagonista della politica moderna, è il bisogno di un capo. Da ciò ha origine, nell’epoca contemporanea, la personalizzazione della politica e del potere anche nelle democrazie moderne. Nel 2009 “Le Monde” inserì fra i venti libri che hanno cambiato il mondo La psicologia delle folle di Gustave Le Bon, pubblicato nel 1895, tradotto in molte lingue e continuamente riedito fino ai giorni nostri. Le Bon insegnava ai capi che «conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle, vuol dire conoscere l’arte di governare». Politici molto diversi, democratici, totalitari o autoritari seguirono gli insegnamenti della Psicologia delle folle. Nella scia dell’opera di Le Bon, Emilio Gentile rievoca le principali esperienze di personalizzazione del potere nell’epoca contemporanea, da Napoleone a Kennedy: una riflessione storica utile per comprendere l’attuale tendenza a trasformare il ‘governo del popolo, dal popolo, per il popolo’, in una democrazia recitativa, fondata sul comando di un capo acclamato dalla folla.

«I caratteri specifici della folla sono la suggestionabilità, l’incapacità di ragionare, l’esagerazione dei sentimenti, il semplicismo delle opinioni e altre caratteristiche che apparentano la folla al bambino o agli esseri primitivi per “la facilità a lasciarsi impressionare dalle parole e dalle immagini, a farsi trascinare in atti lesivi dei suoi più evidenti interessi”.»

«Nella folla, le attitudini coscienti, razionali e intellettuali dei singoli individui si annullano, e predominano i caratteri inconsci. I fenomeni inconsci svolgono una parte preponderante nel funzionamento dell’intelligenza. E ciò accade non solo per una folla composta da individui senza cultura o appartenenti alle classi popolari, ma anche per una folla composta da individui colti o appartenenti alle classi superiori. Le decisioni di interesse generale prese da un’assemblea di uomini illustri, ma di specializzazioni diverse, non sono molto migliori delle decisioni che potrebbero esser prese in una riunione di imbecilli.»

«Nella psicologia delle folle, le immagini acquistano la vivacità delle cose reali e sono considerate reali: l’irreale predomina sul reale. Ciò va tenuto presente soprattutto nelle elezioni. Il capo candidato può promettere senza timore le più imponenti riforme. Le promesse esagerate producono sul momento un grande effetto e non impegnano affatto per l’avvenire, perché l’elettore non si preoccupa mai di sapere se l’eletto ha rispettato la proclamata professione di fede, in base alla quale avrebbe dovuto giustificare la sua elezione. Ma soprattutto il capo deve possedere il prestigio, l’elemento fondamentale della persuasione, la molla più forte di ogni potere.»

'autore

Emilio Gentile

Emilio Gentile, storico di fama internazionale, nel 2003 ha ricevuto dall’Università di Berna il Premio Hans Sigrist per i suoi studi sulle religioni della politica. Tra le sue più recenti opere per Laterza, tradotte nelle principali lingue: Fascismo. Storia e interpretazione; La Grande Italia; La democrazia di Dio (Premio Burzio); Fascismo di pietra; E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma (Premio Città delle Rose; finalista e vincitore del Premio del Presidente al Premio Viareggio); Due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine di un mondo. Storia illustrata della Grande Guerra; Il capo e la folla; “In democrazia il popolo è sempre sovrano”. Falso!; Mussolini contro Lenin; 25 luglio 1943 (Premio Acqui Storia 2018); Chi è fascista; Caporali tanti, uomini pochissimi. La Storia secondo Totò; Storia del Partito fascista. Movimento e milizia. 1919-1922.

 


PREFAZIONE AL LIBRO


INTRODUZIONE ALL’OPERA

La migliore fra le peggiori

I capi e le folle, i governanti e i governati, sono stati presenti nelle vicende umane fin dagli albori della storia, ma nel corso dci millenni soltanto i nomi dei capi sono stati tramandati. I ira i resti monumentali dei grandi imperi dell’antichità, le immagini dei sovrani si ergono pietrificate con lo sguardo volto all’eternità, mentre solo la sabbia che circonda i loro monumenti evoca l’immagine degli innumerevoli sudditi, scivolati nel nulla, ricordati con generiche denominazioni collettive: moltitudine, popolo, plebe, volgo, gregge, gente comune, folla, massa.

Questo libro mostra con esempi significativi come sono stati percepiti e interpretati i rapporti tra il capo e la folla in situazioni democratiche, dove cioè i governanti erano scelti dai governati o dove i governati lottavano per il diritto di scegliere i propri governanti.

Nel corso della storia, alcuni capi sono stati chiamati eroi, grandi uomini, uomini rappresentativi, uomini della provvi­denza o, più prosaicamente, “individui storici” (come li ha definiti il filosofo Eric Weil), per dare risalto alla loro singo­larità di governanti eccezionali e straordinari, perché hanno provocato con la loro azione un nuovo corso di eventi, in­fluendo in modo decisivo, nel bene e nel male, sull’esistenza delle collettività umane. I grandi uomini politici non sono necessariamente grandi solo per il loro valore esemplare, mo­rale o creativo, ma anche perché la loro azione ha avuto effetti estesi nello spazio e nel tempo, producendo «eventi irrever­sibili», come ha osservato Weil: «Il mondo non sarebbe ora quello che è se non ci fosse stato il loro intervento» quali «ca­pi della massa in quanto si rivolgono sempre e direttamente alla totalità del popolo».

Nell’Ottocento si diceva: “Sono i capi che fanno la storia”. Nel Novecento si diceva: “Sono le masse che fanno la storia”. Oggi si dice: “La storia la fanno i capi e le masse”.

Folla e massa sono parole affini, come mostra la loro eti­mologia. Folla deriva dal verbo latino fullare: pigiare, pressa­re l’uva, la lana, un tessuto. Massa viene dall’identico termine latino, che significa “pasta”, analogo alla parola greca maza, nome di una focaccia d’orzo con olio e acqua derivante dal verbo massein (“impastare”). Folla e massa, come metafore di una materia amorfa da plasmare, indicano le moltitudini umane coinvolte nella politica, evocando nello stesso tempo l’azione esercitata su di esse dai capi che le guidano.

Il significato delle parole usate nel corso dei secoli per de­nominare i governati è determinato dal contesto in cui esse appaiono e dal senso loro attribuito da chi le adopera, spesso spregiativo o elogiativo. Nell’uno o nell’altro caso, tali parole riflettono sempre concezioni diverse dell’uomo, della politi­ca e del potere. Nel corso del nostro viaggio incontreremo alcune idee che hanno avuto la più estesa influenza sulle col­lettività umane. Considerare l’uomo naturalmente incline al bene o naturalmente incline al male; considerare gli esseri umani per natura eguali o diseguali; considerare i governati capaci o incapaci di decidere sul proprio destino scegliendosi i propri governanti: sono stati questi i presupposti alternativi delle concezioni della politica e del potere che hanno finora modellato i rapporti fra il capo e la folla, l’organizzazione 1 logli Stati e l’esistenza delle collettività.

Folla e massa sono parole entrate nel linguaggio politico dalla Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese, per definire le moltitudini sempre più numerose coinvolte nel­la lotta politica e nella organizzazione dello Stato. «Le folle hanno sempre avuto nella storia una parte importante, ed oggi più considerevole che in qualsiasi altra epoca», afferma­va nel 1895 Gustave Le Bon, un pioniere nelle ricerche sulla psicologia delle folle e dei capi, sostenendo che «la potenza delle folle» era «la più recente sovrana dell’età moderna»: «Mentre le antiche credenze barcollano e spariscono, e le vetuste colonne delle società si schiantano ad una ad una, la potenza delle folle è la sola che non subisca minacce e che vede crescere di continuo il suo prestigio. L’era che inizia sarà veramente l’era delle folle». Trentacinque anni dopo, il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset constatava: «C’è un fatto che, bene o male che sia, è il più importante nella vita pubblica europea dell’ora presente. Questo fatto è l’avvento della masse al pieno potere sociale».

L'era delle folle, l’era dei capi che guidano le masse, è og­gi anche l’epoca della democrazia. Annientati i totalitarismi nazionalsocialista e fascista nella seconda guerra mondiale, disfattosi alla fine del Novecento i l totalitarismo comunista in Russia e nell’Europa orientale, scomparsi regimi autoritari e dittature militari nell’America Latina, nel mondo attuale qua­si tutti i capi e quasi tutte le folle si proclamano democratici.

Democrazia significa “potere del popolo”. La parola fu coniata circa duemilacinquecento anni fa dai greci per defi­nire l’organizzazione politica da loro inventata, nella quale i governanti erano eletti dalla folla dei cittadini adunati in assemblea. Molti intellettuali greci criticarono la democrazia, perché attribuiva la scelta dei governanti e le decisioni del go­verno a una moltitudine composta in maggioranza da perso­ne povere, senza istruzione e senza competenza. Perciò inclu­sero la democrazia tra le forme di governo che giudicavano cattive, come la tirannide e l’oligarchia, perché in tutte e tre chi deteneva il potere (un singolo, pochi o molti) governava nel proprio interesse e non per il bene comune. Platone ebbe per la democrazia una profonda repulsione, perché riteneva che il «governo dei molti» fosse il dominio dell’ignoranza, della licenza, della demagogia, destinato a generare inevita­bilmente la tirannide, pessima fra le cattive forme di governo. Anche Aristotele criticava la democrazia come «governo dei poveri», in cui il potere veniva esercitato a vantaggio di que­sti ultimi, i più numerosi fra i cittadini. Tuttavia, Aristotele considerava la democrazia pur sempre la migliore fra le forme cattive di governo.

Al filosofo greco fece eco, venticinque secoli dopo, Winston Churchill, quando disse alla Camera dei Comuni 1’11 novembre 1947 che «in questo mondo di peccato e di dolore, molte forme di governo sono state e saranno sperimentate. Nessuno pretende che la democrazia sia perfetta o onniscien­te. In verità, è stato detto che la democrazia è la peggiore forma di governo, eccetto tutte le altre forme sperimentate nelle diverse epoche».

Quando Churchill pronunciò queste parole erano trascor­si due anni dalla fine della seconda guerra mondiale, vinta dalle democrazie occidentali alleate con lo Stato totalitario dell’Unione Sovietica, ma era già iniziata una “ guerra fredda” fra l’Unione Sovietica, con gli Stati comunisti totalitari sorti dopo il 1945 sotto la sua egida, e le democrazie occidenta­li, alleate con vecchi e nuovi regimi autoritari anticomunisti. Negli anni successivi, altri regimi totalitari comunisti e altri regimi autoritari anticomunisti furono instaurati in Asia, in Africa e in America Latina, mentre il regime nazionalista a partito unico divenne il sistema di governo di gran parte dei nuovi Stati sorti in Africa e in Asia dopo la fine del dominio coloniale.

Per quattro decenni del Novecento le vicende del mondo furono dominate dall’antagonismo planetario fra la democra­zia capitalista e il totalitarismo comunista. I comunisti erano convinti che il futuro fosse dalla loro parte. Ma in Russia e in Europa orientale il futuro del comunismo finì nel 1989, con il disfacimento di tutti i regimi totalitari che avevano tentato di realizzarlo. Nel frattempo erano crollati i regimi autoritari e le dittature militari anticomuniste. Ovunque furono instau­rati al loro posto regimi democratici o che tali si definivano.

Nel 1991 il filosofo Norberto Bobbio constatò che «le democrazie esistenti non solo sono sopravvissute ma nuove democrazie sono comparse o ricomparse là dove non erano mai esistite o erano state eliminate da dittature politiche o militari»; pensava pertanto che non fosse «troppo temerario» chiamare «il nostro tempo» l’era delle democrazie.

Ma appena un decennio dopo, il futuro della democrazia era offuscato da gravi dubbi. Secondo molti osservatori, tra i fenomeni più rilevanti dell’attuale malessere della demo­crazia vi è la tendenza alla personalizzazione della politica nella figura del capo, che stabilisce un rapporto diretto con la folla. Ci sono stati capi che si sono serviti del consenso po­polare per abbattere la democrazia, come avvenne in Francia nell’Ottocento con Napoleone Bonaparte e poi con suo ni­pote Luigi Napoleone; e come è accaduto nel Novecento con Benito Mussolini in Italia, e in Germania con Adolf Hitler. Ma nel Novecento ci sono stati anche capi che hanno usato la personalizzazione del potere per salvaguardare la democrazia, come Franklin D. Roosevelt negli Stati Uniti, Winston Churchill in Gran Bretagna, Charles De Gaulle in Francia.

In un regime democratico, la personalizzazione del potere non produce necessariamente la dittatura di un capo, così come la politica di massa non sempre coincide con il con­solidamento della democrazia. Conoscere il comportamento dei capi e delle folle nelle epoche del passato può aiutare a comprendere i capi e le folle della politica di massa nel tempo in cui viviamo. E soprattutto a riflettere sull’attuale tendenza a trasformare il “governo del popolo, dal popolo, per il popolo”, come lo definì Abraham Lincoln nel 1863, in una “democrazia recitativa”, dove la politica diventa l’arte di governo del capo, che in nome del popolo muta i cittadini in una folla apatica, beota o servile.


CAPITOLO  PRIMO

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CAPITOLO  SECONDO

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CAPITOLO  TERZO