Dante  Alighieri

Il cui vero nome era Durante di Alighiero degli Alighieri. Per diminutivo egli veniva da tutti chiamato, come era comune ai sui tempi per ognuno, con un diminutivo: Dante nel suo caso. Dante della famiglia degli Alighieri. Il cognome era comune solamente per persone che avevano dietro a se una Famiglia riconosciuta dalla Comunità comunale.  

La Divina Commedia

Opera maggiore  del sommo Poeta.

IL PERSONAGGIO - DANTE ( DURANTE ) di ALIGHIERO degli ALIGHIERI -

ANALIZZIAMO ALCUNI VERSI DELLA DIVINA COMMEDIA PER CAPIRE LA GRANDEZA DELLA POETICA DANTESCA

 

Dante, il significato del verso “Amor, ch’a nullo amato amar perdona

“Amor che a nullo amato amar perdona” è un celebre verso della Divina Commedia di Dante contenuto nel quinto canto dell’ Inferno. Il testo della canzone Serenata rap di Jovanotti riserva delle sorprese al cultore di memorie dantesche:

Amor che a nullo amato amar perdona porco cane

Lo scriverò sui muri e sulle metropolitane

Qualche anno prima, un altro cantautore romano, Antonello Venditti, aveva reimpiegato il medesimo verso dantesco all’interno di una delle sue canzoni più famose, Ci vorrebbe un amico

E se amor che a nulla ho amato,

Amore, amore mio perdona

In questa notte fredda

Mi basta una parola

Questo fenomeno si chiama intertestualità (una parola che designa la famiglia di rapporti – di varia natura – che un testo intrattiene con quelli della tradizione letteraria anteriore o coeva).

 

Tanto gentile e tanto onesta pare” di Dante Alighieri e il concetto di amore puro

Sonetto inserito nella Vita Nova, Dante definisce i canoni della corrente poetica del dolce stilnovo.

Beatrice viene descritta in termini romantici indimenticabili.

Dopo la sosta nell’ anti-Inferno e nel Limbo, l’autore narra – nel quinto canto – l’ingresso nell’Inferno vero e proprio. Le prime anime dannate che incontra sono quelle dei lussuriosi, le quali – nel corso dell’esistenza terrena – hanno sottomesso la ragione, la scintilla di divinità che alberga dentro di noi, all’istinto.

Queste anime, travolte in vita dal vento turbinoso delle passioni, sono ora per l’eternità – secondo la regola del contrapasso – travolte e percosse da una bufera infernale, che mai non resta (non cessa), a differenza – secondo un antico commentatore – « del vento naturale del mondo, che resta » ( vv. 31 – 36 ).

La bufera infernal, che mai non resta,

mena li spiriti con la sua rapina;

voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,

quivi le strida, il compianto, il lamento;

bestemmian quivi la virtù divina.

Mentre Virgilio elenca le schiere dei lussuriosi, l’attenzione di Dante viene rapita da una immagine trascendentale di levità. Entra in scena una coppia di amanti accompagnati da una connotazione di ventosa leggerezza ( vv. 73 – 75 ):

I’ cominciai: “Poeta, volontieri

parlerei a quei due che ’nsieme vanno,

e paion sì al vento esser leggeri”.

Sono Paolo e Francesca, i due cognati protagonisti e vittime di un amore adulterino dall’epilogo tragico. Molto se ne era parlato nell’Italia dell’epoca. Il nostro maggiore informatore è Giovanni Boccaccio, il quale ci racconta – con dovizia di particolari – l’accaduto:

«È adunque da sapere che costei [Francesca] fu figliola di messer Guido vecchio da Polenta, signor di Ravenna e di Cervia; ed essendo stata lunga guerra e dannosa tra lui e i signori Malatesti di Rimini, adivenne che per certi mezzani [collaboratori] fu trattata e composta la pace tra loro. La quale acciò che più fermezza avesse, piacque a ciascuna delle parti di volerla fortificare per parentado».

Quindi: Il papà di Francesca volle dare sua figlia in sposa al signore di Rimini, Gian Ciotto, che era un uomo per nulla avvenente, descritto dalle fonti d’epoca come «sozzo della persona e sciancato». Fu orchestrato un inganno: a Francesca fu fatto credere che sarebbe andata in sposa al fratello di lui, Paolo, il quale al contrario era un uomo bellissimo. Questi va a sposarla per procura. Quando una damigella di Francesca vede da un pertugio Paolo, fraintendendo, dice alla sua signora: «Madonna, quegli è colui che dee esser vostro marito».

 Perché leggere Dante può aiutarci a comprendere il presente

Perché è importante continuare a studiare Dante? Ci risponde Rossana Guglielmetti, docente presso l’Università degli Studi di Milano

Francesca si affaccia e mira questo uomo bellissimo, di cui si innamora subito e perdutamente. Quando si accorse di essere stata ingannata, altro non le restò che una rancorosa e tacita rassegnazione. Per i due cognati – però – non tutto è perduto: Il marito di Francesca era un signore feudale ed era spesso fuori dal castello, ragion per cui ai due amanti era riservata la possibilità di passare del tempo insieme.

Accade che un giorno un servo scopre questa tresca e fa una delazione: avverte il marito di Francesca, il quale – tornato precipitosamente al castello – bussa alla porta della stanza della moglie, la quale stava con Paolo in un momento di intimità amorosa. Questi, allarmatissimo, cerca di mettersi in salvo correndo dentro una botola «per la quale di quella camera si scendea in un’altra [..] dicendo alla donna che nel frattempo andasse ad aprire, per non fare insospettire ulteriormente Gianciotto».

 Dante, il significato del verso “Ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi…

Purtroppo, Paolo rimane incastrato. Il marito entra e trova davanti a sé la prova dell’infedeltà coniugale. Prende la spada e si precipita verso il fratello; Francesca si interpone tra loro due e la lama trafigge i petti degli amanti, tignendo il mondo di sanguigno. «e così amenduni lasciatiogli morti, subitamente si partì e tornossi all’ufficio suo. Furono poi li due amanti con molte lacrime la mattina seguente seppelliti e in una medesima sepoltura.».

Divina Commedia, i versi più memorabili di Dante

La “Commedia” di Dante è una delle opere letterarie più note e amate al mondo, tanto che molti versi sono conservati nella memoria di tutti

Dante e l’autodifesa di Francesca ( vv. 100 – 107 )

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi a vita ci spense”.

Queste parole da lor ci fuor porte.

Francesca affida ai versi la sua autodifesa: il vero responsabile della sua catastrofe esistenziale è Eros, che – come aveva insegnato Guido Guinizelli – nidifica nei cuori sensibili. Al suo potere, nessun uomo può opporre resistenza.

Il verso 104 ( « Amor che a nullo amato amar perdona » ) – passato alla memoria collettiva e così caro anche ai cantautori italiani – lo possiamo parafrasare e interpretare in questo modo: l’Amore non « perdona » ( nel senso di “ non risparmia“, alla stregua del verbo latino parcere costruito con il dativo ) a «nullo amato» ( a nessuna persona che riceve Amore ) di «amare», ossia di non riamare a sua volta.

Questo verso viene sempre citato per esprimere l’inesorabile fatalità di Eros, al quale – come alla Morte – nessun uomo può sfuggire.

Il verso è l’ennesima prova della mirabile arte poetica dantesca, che nel giro di poche sillabe riesce a condensare, miniaturizzare temi di enorme rilievo emozionale ed esistenziale. La prerogativa della grande poesia – secondo Italo Calvino – consiste proprio nella capacità di rinchiudere il mare in un bicchiere.

La Commedia in generale

Prima di addentrarci nelle peculiarità dell’opera dantesca, vediamo quali sono le cose da sapere sull’ispirazione che ha portato Dante a scrivere questo capolavoro della letteratura italiana.

La Divina Commedia è un’opera scritta in lingua volgare fiorentina, seguendo una struttura in terzine incatenate di endecasillabi (poi chiamate per antonomasia terzine dantesche).

Il titolo con cui la conosciamo non è stato quello attribuito dallo stesso Dante alla sua opera: Alighieri, infatti, denominò il suo lavoro semplicemente Comedia. L’aggettivo «Divina» le fu attribuito dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362 e stampato nel 1477.

Per quanto riguarda gli anni di composizione dell’opera, i critici concordano che i tempi da considerare siano compresi tra il 1306/07 e il 1321, anni dell’esilio dantesco in Lunigiana e Romagna.

L’opera riscosse, sin da subito, uno straordinario successo e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana.

Struttura del poema

La Divina Commedia è divisa in tre parti, definite «cantiche»: queste sono Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Ciascuna di queste è composta da 33 canti (tranne l’Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Nella Commedia, Dante racconta un viaggio immaginario attraverso i tre regni ultraterreni, che lo condurranno fino alla visione della Trinità.

Divina Commedia: Inferno

Il viaggio dantesco inizia proprio nell’Inferno, sotto le mura di Gerusalemme. La guida di Dante è il poeta Virgilio, che lo accompagnerà tra le anime dannate.

L’Inferno si apre con un Canto introduttivo (che serve da proemio all’intera opera), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale e dell’incontro con Virgilio.

Dante si ritrae, infatti, “in una selva oscura”, allegoria del peccato, nella quale era giunto avendo smarrito la “retta via”, la via della virtù, e giunto alla fine della valle.

L’inferno dantesco è concepito come una serie di anelli numerati, sempre più stretti, che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato; l’estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed è interamente occupata da Lucifero che, movendo le sue enormi ali, produce un vento gelido.

Nell’inferno, ad ogni peccato corrisponde un cerchio, ed ogni cerchio successivo è più profondo del precedente e più vicino a Lucifero; più grave è il peccato, maggiore sarà il numero del cerchio.

Sono molte le storie emblematiche dell’Inferno, da quella dei due amanti Paolo e Francesca a quella del conte Ugolino della Gherardesca.

Nell’ultima parte dell’Inferno, a subire la punizione peggiore, si trovano i tre grandi traditori: Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda Iscariota.

Divina Commedia: Purgatorio

Dopo essere usciti dall’Inferno, Dante e Virgilio approdano in mezzo al mare, dove s’innalza la montagna del Purgatorio.

Il Purgatorio è composto da sette “cornici”, dove le anime non sono condannate per sempre: sul monte i peccatori scontano il loro peccato prima di accedere al Paradiso. Contrariamente all’Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero del cerchio, qui alla base della montagna, nella prima cornice, stanno coloro che si sono macchiati delle colpe più gravi, mentre alla sommità, vicino al Paradiso terrestre, i peccatori più lievi.

Divina Commedia: Paradiso

Dopo aver percorso tutto il monte del Purgatorio, Dante saluta il suo accompagnatore Virgilio: questo perché Virgilio si trova nel Limbo, quel luogo dell’Inferno dove si trovano i non battezzati che hanno vissuto nel bene. Ne consegue, dunque, che Virgilio non viene considerato degno di accompagnare Dante in Paradiso.

A guidare Dante in Paradiso è Beatrice, la donna amata dal Poeta.

La struttura del Paradiso è composta da nove cieli concentrici, al cui centro sta la Terra; in ognuno di questi cieli, dove risiede un pianeta diverso, stanno i beati, più vicini a Dio a seconda del loro grado di beatitudine. Non c’è una gerarchia della beatitudine, perché le anime del Paradiso non stanno meglio o peggio, e nessuno desidera una condizione migliore di quella che ha, poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello che si ha.

Secondo la visione dantesca Dio, al momento della nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili ad ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che essi godono diversi livelli di beatitudine.

La cronologia del viaggio

Il viaggio che Dante affronta dall’Inferno al Paradiso dura in realtà “solo” 7 gioni.

Il riferimento principale al tempo della storia è Inferno XXI, 112-114: in quel momento sono le sette del mattino del Sabato Santo del 1300, 9 aprile. L’anno è confermato da Purgatorio II, 98-99, che fa riferimento al Giubileo in corso.

Sulla base di questo, i critici sono giunti alla conclusione che:

  • La mattina dell’8 aprile (Venerdì Santo), Dante esce dalla “selva oscura” e inizia la salita del colle, ma viene messo in fuga dalle tre fiere e incontra Virgilio;
  • Al tramonto, Dante e Virgilio iniziano la visita dell’Inferno, che dura circa 24 ore e termina quindi al tramonto del 9 aprile;
  • Superando il centro della Terra, Dante e Virgilio approdano nel “fuso orario” del Purgatorio (12 ore di differenza da Gerusalemme e 9 ore dall’Italia), per cui è mattina quando essi intraprendono la risalita, che occupa tutto il giorno successivo;
  • All’alba del 10 aprile (domenica di Pasqua), Dante e Virgilio iniziano ad esplorare il Purgatorio, con un viaggio che dura tre giorni e tre notti;
  • Alba del quarto giorno, 13 aprile o 30 marzo, Dante entra nel Paradiso Terrestre e vi trascorre la mattina, durante la quale lo raggiunge Beatrice. A mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono in cielo.

Tematiche trattate

I temi affrontati nella Divina Commedia da Dante sono diversi. Parliamo di:

  • Redenzione dell’umanità;
  • Redenzione dell’anima del poeta dopo il periodo di traviamento (la “selva oscura” che il Poeta trova “nel mezzo del cammin di nostra vita”);
  • Redenzione politica: l’umanità con la guida della ragione (Virgilio) e dell’impero raggiunge la felicità naturale;
  • Redenzione religiosa: con la guida della Teologia e della fede si arriva alla felicità ultraterrena (Paradiso).

Sulla Divina Commedia abbiamo detto proprio tutto: non ti resta che intraprendere la tua lettura della Divina Commedia e goderti questo viaggio alla scoperta delle radici della nostra cultura.